6. Squarci di luce
I'm so tired of being here
Suppressed by all my childish fears
And if you have to leave
I wish that you would just leave
'cause your presence still lingers here
And it won't leave me alone
Sono stufa di stare qui
Schiacciata da tutte le mie paure infantili
E se te ne devi andare
Vorrei che semplicemente te ne andassi
Perché la tua presenza aleggia ancora qui
E non vuole lasciarmi sola
Introduzione: Versi tratti da “My Immortal” degli Evanescence, canzone di cui
vado letteralmente pazza… adatta ai momenti di malinconia ma utile anche se non
si riesce a prendere sonno… Funzione multiuso!
…Spero che non valga anche per la mia FF!!
Buona letturaaa!!!
Uno schifo.
Si sentiva proprio uno schifo.
Raggomitolata sul suo letto, nel buio, Zori sentiva i rumori provenienti dalla
cucina, il tintinnìo delle posate, Sanut che emetteva i primi versi, e persino
Dimineata che canticchiava tra sé e sé. Sentiva i rumori, ma non li ascoltava.
Era persa, persa nel suo mondo e completamente estranea alla realtà che la
circondava.
Aveva smesso di piangere da un pezzo, ormai. Si era stufata anche di quello.
Semplicemente se ne stava sdraiata su un fianco, in posizione fetale, a
contemplare il suo totale fallimento.
“Com’è strana la vita” pensò. “Un minuto prima sei felice e un minuto dopo…al
colmo della disperazione.” Strinse con più forza le braccia attorno alle
ginocchia.
“Ma insomma, cosa c’è di sbagliato in me? Perché non riesco mai a combinarne una
giusta? Ho buttato al vento l’occasione - l’unica occasione- che avevo per
costruirmi un futuro diverso… diverso da quello che mi era stato imposto… ma
adesso… adesso è troppo tardi” Si mise a giocherellare con un lembo della
coperta su cui era sdraiata.
“Cosa mi resta da fare, ormai?” Si trattava di una domanda che si poneva spesso,
negli ultimi tempi. Un interrogativo a cui non rispondeva mai, non perché non ne
conoscesse la risposta, ma perché non riusciva a trovare il coraggio per darla.
Sospirò. “Sei patetica”, si disse. “Non combinerai niente stando qui a
rimuginare…”
Però era così bello… consolante, sotto un certo aspetto. Sognare ad occhi
aperti… era ciò che le riusciva meglio. Adorava riflettere. A volte aveva la
testa talmente piena di idee da sentirsi quasi soffocare.
“La mia piccola scienziata”. Quei pensieri le avevano rievocato alla mente le
affettuose parole del padre, che tanto amava ripeterle.
Com’era rimasto deluso quando gli aveva detto che voleva partecipare alle
selezioni militari! Lui la vedeva già sistemata ai Laboratori, e di punto in
bianco era venuto a sapere che voleva fare carriera nell’esercito. Sebbene fosse
una persona dalla mentalità aperta, non poteva sopportare l’idea che la sua
primogenita “disertasse” la tradizione familiare e diventasse un soldato.
Sua madre era stata più moderata nell’esprimere il suo disappunto, probabilmente
perché pensava che Zori stesse bluffando e che avrebbe mollato al primo
allenamento.
Cosa che aveva effettivamente fatto.
“Vedi cosa succede quando segui il tuo istinto? Finisci solo per rovinare tutto”
pensò amaramente la ragazza.
“Avrei dovuto seguire il consiglio dei miei e iniziare l’apprendistato ai
Laboratori Scientifici. Facendo di testa mia ho solo perso tempo.”
In quel momento Dimineata entrò nella stanza. Si avvicinò al letto e si sedette
accanto alla figlia. “Vuoi qualcosa da mangiare? Stamattina non hai quasi fatto
colazione…” le chiese con dolcezza.
Zori non rispose subito. Aveva i crampi allo stomaco per la fame, ma non aveva
nessuna voglia di mangiare.
“Mi-Zori… Cos’è successo? L’allenamento non è andato bene?”
La ragazza fremette di rabbia. Sapeva che prendersela con sua madre era
ingiusto, ma aveva assolutamente bisogno di sfogarsi con qualcuno, e le sue
amiche erano ancora al campo 5.
“E’ andato tutto storto! Ecco cos’è successo!! Tutto storto!!” Si tirò su a
sedere e guardò Dimineata negli occhi, che nella penombra sembravano ancora più
grandi e profondi. “E’ stato tremendo, e io sono una stupida! Un’incapace, sono…
sono… un fallimento, ecco!!”
“Oh, Zori…” sospirò la madre. “Tu non sei un fallimento! Semplicemente sei brava
in altre cose! L’esercito non è la tua strada, ecco tutto… Non mi sembra poi
così grave!”
“Per te è facile parlare… Non sei tu quella che è stata umiliata pubblicamente!
Tu e papà speravate che io fallissi, l’avevate già previsto! Beh, la sai una
cosa? Avevate ragione, non ce la farò mai e diventerò una scienziata, proprio
come te e papà! Del resto, è questo ciò che volevate, vero? E’ questa la mia
strada!!” Zori stava urlando di rabbia, sapeva che non era giusto, ma non
riusciva a fermarsi.
Le sarebbe tanto piaciuto che, invece di sua madre, davanti a lei fosse stato
seduto quel farabutto di Ikisatashi…l’avrebbe volentieri preso a schiaffi, quel
brutto bastardo! (*)
“Ne parli come se fosse un lavoro disonorevole!!” le urlò di rimando Dimineata.
Loro due avevano lo stesso carattere: calmo in superficie, turbolento sul fondo.
“Apri gli occhi, Zori! Cosa vorresti fare? Coltivare la terra? Allevare gli
animali? O forse preferisci farti ammazzare in guerra? Dovresti essere grata di
poter diventare una scienziata!! Non tutti hanno questo privilegio, sai? Prova a
chiedere ad un contadino com’è bello lavorare tutto il giorno un terreno
parzialmente gelato, e poi vedrai che l’idea dei Laboratori non ti farà più così
schifo!” (**)
Dopo la sfuriata, che aveva ammutolito la ragazza, Dimineata riprese in tono più
pacato:“Pensaci, Zori. Hai un gran dono. Sei intelligente, capisci le cose al
volo. Vuoi davvero sprecare questa fortuna cercando di essere qualcuno che non
sei?”
Zori si calmò. La rabbia che era divampata all’improvviso se ne andò altrettanto
velocemente, lasciando solo cenere. Si sentì di nuovo triste.
“Hai ragione, mamma. Scusami se mi sono comportata male… sei arrabbiata?”
Dimineata le accarezzò la testa. “Ma no, non sono arrabbiata. Hai ricevuto una
delusione, è naturale che ti senta abbattuta. Ma devi farti forza e superare
l’accaduto. Dai, vieni di là a darmi una mano con tua sorella. Stare qui al buio
non serve.”
Zori annuì ed accennò timidamente un sorriso. Scese dal letto e seguì la madre
in cucina.
Sanut la guardò con gli occhini sgranati, sorrise e le tese le manine, gioiosa.
Alla sua vista, Zori non potè fare a meno di sorridere. I bambini erano davvero
un ottimo antidepressivo.
Prese in braccio la sorellina e se la strinse delicatamente al petto. Quella
serrò le manine e si ficcò un pugnetto in bocca. Zori vide che le stavano
spuntando i canini. “Poverina, ti fanno male?” le chiese dolcemente.
“E’ in anticipo di almeno un mese… che bambina precoce” osservò la madre mentre
tagliuzzava le verdure secche. “Scusa amore… mi daresti una mano con queste
mentre vado a prendere l’acqua?”
“Certo” rispose la ragazza adagiando Sanut nella culla. “Scusa piccola, ma devo
aiutare la mamma”
“Sei un tesoro, Mi-Zori” le disse Dimineata stampandole un bacio sulla fronte.
“Faccio in un momento… non ti dispiace, vero?”
“No, figurati! Vai pure” rispose la ragazza. Era la verità: finalmente aveva
qualcosa da fare per distrarsi. Aveva ancora davanti agli occhi la figura di
Ikisatashi…
…quel suo strano modo di muoversi, come se non avesse peso…
…e quel suo sguardo così inquietante.
Ma, allo stesso tempo…
…Così affascinante…
Fu scossa da un brivido improvviso.
Non riusciva a credere di aver pensato una cosa del genere!! Ma che cosa le
saltava in mente?
Quel pazzo per poco non l’aveva fatta a pezzi..
Le era saltato addosso senza motivo…
L’aveva umiliata davanti a tutti!!
Possibile che si trattasse di una messa in scena allo scopo di testare le sue
capacità e la sua fermezza? Del resto, non sarebbe stata la prima volta: la
“prova psicologica” era abbastanza diffusa nell’esercito.
Ma nonostante questo, Zori era molto dubbiosa al riguardo. Le era sembrato che
lui avesse fatto sul serio… che le sue fossero azioni improvvisate, senza alcuna
pianificazione precedente.
“Comunque”, pensò mentre tagliuzzava furiosamente le verdure, “anche ammesso che
Ikisatashi stesse recitando, io ho perso lo stesso. Sono scappata via… di sicuro
l’esercito non ha bisogno di persone come me”
Forse era questa cosa, più di tutte, che la faceva arrabbiare: il fatto di
essere scappata come una vigliacca. Non era nella sua indole! Si era sempre
considerata una tipa coraggiosa, tutto sommato. Affrontava a muso duro tutti i
problemi, anche quelli più complicati.
Ma poi, un bel giorno, le era capitato di fronte quel ragazzo… che, in
pochissimo tempo, aveva completamente distrutto tutti i pilastri su cui poggiava
la sua fiducia in sé stessa.
Che rabbia, farsi battere da quel prepotente!
Scostò una ciocca castana dal viso. Solo allora le tornò in mente il suo bel
nastro rosso.
Chissà che fine aveva fatto… Probabilmente era ancora per terra, nella polvere.
Il ritorno di Dimineata interruppe le sue riflessioni.
“Non puoi immaginare che cosa ho sentito andando al pozzo!” esclamò quella.
Zori la guardò, cercando di assumere un’espressione incuriosita. “Cosa?”
Dimineata cominciò a raccontarle i pettegolezzi. La ragazza non l’ascoltava del
tutto, a dirla con sincerità era più interessata alle verdure nella bacinella
che alle parole della madre. Andarono avanti dieci minuti buoni, una che
chiacchierava a più non posso e l’altra che annuiva di tanto in tanto.
L’improvviso bussare alla porta interruppe il monologo della madre.
“Chi sarà a quest’ora?” chiese sorpresa mentre si alzava per andare ad aprire.
“Forse è Kazune…” rispose Zori speranzosa. Allungò il collo per vedere oltre le
spalle della madre. “O forse qualche vicina che…” s’interruppe e trattenne il
respiro.
Quella voce… la voce che aveva appena sentito chiedere: “Abita qui Zori
Helyoshin?”… le suonava stranamente familiare…
“Chi la cerca?” chiese a sua volta Dimineata, assumendo un tono inquisitorio.
Zori si precipitò alla porta. Non può essere lui… non può avere una simile
faccia tosta…
Scostò Dimineata e si piazzò di fronte ad Ikisatashi. Era proprio lui! Lui in
persona! Non riusciva a crederci.
Ma come accidenti fa a sapere dove abito?
“Tu!” lo apostrofò. Incrociò le braccia e lo guardò il più velenosamente
possibile.
“Che cosa vuoi… ancora?” Cercò di mantenere lo sguardo e il tono fermi, anche se
aveva una gran voglia di nascondersi per la vergogna e il suo cuore aveva
bruscamente accelerato i battiti.
Lui le sorrise come se niente fosse. “Che domande fai, Mi-Zori? Sono venuto a
prenderti. L’allenamento non è finito, mancano ancora due ore di tempo” le dise
semplicemente.
Zori restò senza parole.
Non aveva più dubbi: quel tipo era davvero fuori di testa. E lei che si era
aspettata un qualche genere di scuse o spiegazioni! Che illusa…
Notò che il ragazzo stringeva nella mano destra il suo nastro.
Perché l’ha raccolto? La ragazza arrossì lievemente, poi pensò che di sicuro
l’aveva fatto per avere un pretesto per cercarla, e a quel punto si arrabbiò di
nuovo.
Intanto Dimineata protestava, chiedendole cosa stesse succedendo e chi fosse il
ragazzo che aveva di fronte.
“Non lo so nemmeno io…” pensò sconsolata Zori. Quella situazione non le piaceva
per niente. Sapeva quanto fosse pericoloso farlo arrabbiare, e non voleva
assolutamente mettere a rischio la madre e la sorella.
Voleva solo che lui se ne andasse dalla sua vita, che la lasciasse in pace.
Prese coraggio, lo guardò negli occhi e gli disse: “Non so come tu abbia avuto
il mio indirizzo, ma ti consiglio di non ripresentarti mai più a casa mia, hai
capito? Lasciami in pace”
Fece per chiudere la porta, ma si fermò e aggiunse: “L’allenamento è finito.”
Dopodiché gli sbattè la porta in faccia e la chiuse con il chiavistello.
Dimineata la guardò, smarrita. “Zori… chi diavolo era?”
La ragazza si rabbuiò. “Era… il motivo per cui sono venuta a casa.”
Si voltò e tornò nella sua stanza.
Quella sera Zori non mangiò. Di fronte alle proteste del padre, disse che aveva
mangiato molto a pranzo e che voleva solo dormire. Dimineata non disse nulla
sentendo la bugia, si limitò a guardare la figlia con occhi brillanti, per poi
tornare in cucina assieme al resto della famiglia.
Alle amiche che erano venute a farle visita quel pomeriggio, allarmate per la
sua improvvisa scomparsa dal campo, la ragazza non aveva detto molto. Non si era
confidata nemmeno con Kazune… aveva fatto finta che tutto fosse a posto e
sfoderato un amabile sorriso per convincere l’amica a tornarsene a casa.
Adesso era di nuovo sola, sola nella sua piccola camera buia. I suoi genitori e
le sue sorelle erano andati a dormire da un pezzo e anche lei aveva sonnecchiato
per un paio d’ore.
Quando si era svegliata era ormai scesa la notte; dalla finestra in angolo
entrava un pallido raggio di luce. Doveva essere Selene… in quel periodo
dell’anno Talyos non si vedeva nel loro emisfero. (***)
Zori si alzò in piedi. Le girava leggermente la testa... probabilmente perché
non aveva mangiato.
Si avviò verso la finestra e guardò in su, verso il cielo. Fissò le stelle
lontane, che aveva sempre sognato di poter vedere dallo spazio, un giorno. Un
altro motivo per cui aveva voluto iscriversi ai corsi dell’Accademia Militare…
solo i soldati potevano accedere alle navette.
“Devo ricordarmi di dire a papà di ritirare la mia iscrizione ai corsi,
domattina…” riflettè. Nuove lacrime le riempirono gli occhi. “Sono così stanca
di fingere…”. La tristezza la avvolse e quasi la soffocò.
Poi subentrò la rabbia. “Ah, basta, non ne posso più!” Si asciugò le lacrime,
furente. Perché accidenti era così debole?
Ma ad un tratto successe qualcosa che la distrasse dai suoi pensieri.
A pochi metri da dove si trovava lei, sulla tenera erbetta appena nata vicino a
casa sua, vide il suo nastro rosso che brillava alla luce della luna.
Il cuore prese a batterle forte. Come era finito lì? Era certa di averlo visto
in mano ad Ikisatashi, quella mattina. Iniziò a ragionare freneticamente.
Ovviamente lui l’aveva messo lì apposta, per farla uscire di casa. Non poteva
entrare senza il suo permesso, così voleva che uscisse lei.(****)
Ma cosa poteva volere ancora?
“Potrebbe anche averlo perso per errore… o forse l’ha gettato via in un impeto
di rabbia…”
Tutte le ipotesi erano possibili… Ma era saggio uscire a prenderlo?
Zori teneva molto a quel nastro, ma non era sicura di rivolerlo ancora, dopo
quello che era successo.
Eppure si sentiva attratta dal paesaggio fuori dalla finestra… Voleva, doveva
uscire… Ballare sotto il cielo stellato, nel silenzio della notte…
Rosso scuro.
Ormai lo fissava da così tanto tempo che non le sembrava più un nastro, ma una
striscia di sangue.
Sangue sul prato.
Leggermente, senza far rumore, scavalcò la finestra e atterrò sull’erba. Lanciò
un’occhiata distratta ad un piccolo fiore azzurro che le aveva sfiorato la
caviglia.
Ma i suoi pensieri erano tutti per il nastro.
Voglio solo prenderlo… esco solo per un attimo, poi rientro… non se ne accorgerà
nessuno…
Avanzò di qualche altro passo e si chinò a raccoglierlo.
Appena l’ebbe sfiorato, l’incantesimo si ruppe.
Avvertì una sensazione sgradevole… la sensazione di essere osservata. Si
raddrizzò, stringendo il nastro tra le mani, e si guardò nervosamente attorno.
Non c’era nessuno. Solo lei, il vento e le stelle.
Eppure quel silenzio la inquietava. Sebbene potesse vedere senza sforzo nella
penombra, le sembrava che la notte che la avvolgeva fosse impenetrabile.
Ma era solo una sua impressione, giusto? Un risultato di tutti i pensieri tristi
di quella giornata.
Provò ad utilizzare il suo potere.
Non vide nulla.
“Che stupida…mi sto preoccupando per niente…” Deglutì a fatica e fece per andare
verso la finestra.
“Ti sei decisa ad uscire, finalmente… E’ tutto il giorno che ti aspetto, sai?”
Il cuore le balzò in gola. Ancora quella voce… Quanto avrebbe voluto essersela
immaginata…
Girò su sé stessa, ma non riuscì a vedere nessuno…
Poi capì.
Alzò lo sguardo e lo vide, a circa otto metri dal suolo. Fluttuava senza sforzo,
le braccia incrociate, i capelli lucenti mossi dal vento, gli occhi
incandescenti nell’oscurità.
E il solito sorriso stampato sulle labbra. “Ti comporti proprio come un’umana…
curioso, vero?”
Zori capì a stento quello che le stava dicendo. Tentò di muoversi, di parlare,
ma era tutto inutile… era di nuovo bloccata. Riuscì in qualche modo a
chiedergli: “Che… che cosa intendi dire?”
Il cuore le batteva così forte che temeva che da un momento all’altro le sarebbe
esplosa la cassa toracica.
Lo vide sorridere, paziente. “Vedi… gli esseri umani vivono nel loro piccolo
mondo immaginario.. credono che tutto ruoti intorno a loro. Così…” si
teletrasportò alle sue spalle e le sussurrò: “...non si aspettano mai un attacco
dall’alto…”
Zori lo guardò, spaventata. Voleva attaccarla? Ma perché?
Si allontanò da lui, camminando a ritroso. Poteva volare, smaterializzarsi… cose
che lei non riusciva neanche ad immaginare…
Era molto, molto più forte di lei. Non avrebbe potuto contrastarlo…
Aveva paura, innegabilmente.
E lui l’aveva capito. Gli sfuggì una risata divertita e prese ad avanzare
lentamente verso di lei.
“Hai paura, Mi-Zori?” le chiese con tono vellutato. La sua voce era poco più di
un sussurro, ma i suoi occhi dorati erano piantati in quelli di Zori e lei non
riusciva a distogliere lo sguardo…
“Cosa vuoi fare?!?” gli chiese con voce tremante. “Stammi lontano!” gli intimò
continuando ad indietreggiare.
Era quasi arrivata alla finestra… se fosse riuscita ad entrare in casa non
avrebbe più potuto minacciarla in alcun modo…
Ma Ikisatashi intuì quello che aveva in mente e si portò ancora una volta dietro
di lei, afferrandole le spalle con fermezza.
“Stai ferma, da brava… non voglio farti del male…” le disse con voce suadente.
“Certo, come no!” rispose lei, tentando invano di fargli mollare la presa. Si
voltò e lo fissò con rabbia. Non sopportava che la si prendesse in giro!
“Non sono stupida, sai? E se credi di poter approfittare di me solo perché sono
una femmina, ti sbagli di grosso!” Notò che lui la fissava, stupito. Tuttavia
continuava a trattenerla.
“E adesso lasciami, maledetto! Altrimenti giuro che mi metto ad urlare e sveglio
tutta Dominspura!”
I due si guardarono, in silenzio. Ikisatashi sembrava confuso e aveva perso
l’espressione divertita. Zori sentiva l’indecisione trasparire dal viso del
ragazzo, così come sentiva la pressione delle sue mani sulle spalle. Notò che,
almeno fino ad allora, la sua presa era rimasta costante, ma non aveva tentato
di farle del male. Questo la rincuorò leggermente.
Forse ha detto la verità…
Riacquistò la calma e la capacità di giudizio. Non le sembrava di trovarsi in
pericolo, al momento. Forse, trattandolo con calma e sicurezza, avrebbe potuto
convincerlo a lasciarla… Prese fiato mentre cercava le parole più adatte. Poi
gli disse: “Ascoltami. Io non so perché tu ce l’abbia con me, ma ti assicuro che
non sono arrabbiata. Adesso però devi lasciarmi andare… per favore. Ti prometto
che non scapperò, se non mi minaccerai. Ma adesso lasciami.”
Sperò di essere stata abbastanza convincente.
Ikisatashi la guardò assorto ancora per qualche secondo, dopodiché le sorrise
nuovamente. Non si trattava di un sorriso sadico, però. Era un sorriso
affascinante, con una punta di malizia che trapassò Zori da parte a parte…
adesso toccava a lei essere confusa…
“Sai, sei carina quando ti arrabbi…” le disse mentre allentava la presa. “Ah… e
anche quando arrossisci…” Solo allora la ragazza si accorse di sentirsi in
imbarazzo…
“A proposito… ero venuto qui per scusarmi, sai…”
“Scu… scusarti?” balbettò Zori, smarrita.
“Già… per stamattina…per come ti ho trattata. Anche se poi tu mi hai ricambiato
il favore, sbattendomi la porta in faccia… Sei dispettosa, Mi-Zori…” rise tra sé
e sé. “Ad ogni modo...”
Il ragazzo avvicinò il suo viso a quello di lei... sempre più vicino... ma ormai
Zori non capiva più nulla... stava andando alla deriva negli occhi di
Ikisatashi...
E poi accadde.
Fu solo per un attimo, niente di serio... Solo un breve, piccolo, innocente
bacio... e una dolce carezza al viso. Nient’altro.
La catastrofe, per Zori.
Non può essere vero... non può... non era un...
“Potresti diventare una brava guerriera, Mi-Zori” disse lui.
Poi si allontanò da lei.
Se ne stava andando...
“NO!” gridò Zori. Non puoi lasciarmi così, senza spiegazioni, senza niente, non
dopo questo_ Non puoi!
Lui si bloccò e la guardò, sorridendo. “Sarai stanca...Vai a dormire, Mi-Zori.
Ci vediamo domani.” “Ma... aspetta, Ikisatashi, io...” farfugliò disperata la
ragazza.
Quello le si avvicinò di nuovo e le mise una mano sulla fronte. Zori arrossì
fino alla punta delle orecchie.
Lui rise dolcemente. “Mi chiamo Kisshu, piccola...” Prese fra le dita una ciocca
dei suoi capelli e la accarezzò per tutta la sua lunghezza. “A domani”
Poi, in un attimo, sparì.
Vento, prato, cielo.
Aveva ancora il nastro in mano.
Aveva ancora una speranza.
E aveva un nome...
... Kisshu...
Chiuse gli occhi e si sedette per terra. Si sentiva stranissima... Diversa da
prima.
Cosa le era successo?
...
...Kisshu...
~ * ~ * ~
Fine capitolo!!! Spero abbiate gradito... E soprattutto, spero di aver centrato
bene il personaggio... Un Kisshu così dolce non è molto normale... Ma ho scritto
così come mi veniva... ascoltando per tutto il tempo “Wish I Had An Angel” dei
Nightwish... Forse è stato anche questo ad influenzarmi!
Mi raccomando, aspetto con ansia i commenti!!! ^ o ^
Note:
(*): Autrice: “Eh... ok, era leggermente arrabbiata...”
Yumiko: “Alla faccia del *leggermente*...”
(**): Ci tengo a precisare che non penso assolutamente che quello del contadino
sia un lavoro inferiore... e nemmeno quello del militare! Ma capirete, miei cari
lettori, che la vita di un agricoltore “a quei tempi” non era semplice,
soprattutto perché nel terreno c’era ancora il permafrost (Per chi non lo
sapesse, si tratta di uno strato di ghiaccio perenne che si trova sottoterra
nelle zone fredde del pianeta, come la Siberia).
(***): Ebbene sì, il loro pianeta ha due satelliti!! Il più grande si chiama
Selene (il nome è tratto dal greco), mentre il più piccolo è Talyos, dalla forma
e dall’orbita piuttosto irregolari...
A me l’idea sembrava carina... ho preso spunto dal film “Stargate”, che,
personalmente, trovo fantastico!!
Rio 27: “Ma su Stargate le lune non erano tre?”
Autrice: “Beh, sì! Però non volevo proprio copiarlo di sana pianta... e poi...
non sapevo che nome dare al terzo satellite... Così ne ho tenuti solo due!”
(****): Uh, uh!! Questa è una cosa che adoro!! Ebbene, come forse avrete già
capito, un Alieno (che poi è anche brutto chiamarli Alieni... Non ha un nome, la
loro specie??) non può entrare nella casa di un altro della sua specie se prima
non è invitato... Un po’ come le “fatine” in Artemis Fowl o i vampiri di
Buffy...
... Si, lo ammetto, ho copiato di nuovo... Uffa, mi dà un fastidio sapere che
non sono idee mie... comunque non sarà sempre così!!! Ho già in mente delle cose
che sono solo mie... se poi scopro che qualcun altro l’aveva pensato prima di
me... la prenderò con filosofia... sono coincidenze che capitano!!